LE TRIBU’ HIMBA – il popolo rosso
Muovendo le dita, cercava di spiegarmi quanti giorni avesse il suo bambino. Ne aveva solo 7. Ho preso in braccio quel neonato, avevo paura, ma è stata propio la disinvoltura e il sorriso di quella donna Himba a tranquillizzarmi e a farmi sentire sicuro con quella piccola vita tra le braccia. Mi raccontava cose del piccolo che naturalmente non riuscivo a comprendere, ma son sicuro che volesse dirmi quanto fosse stato forte al momento della nascita. Lo adagiava sulle sue gambe e gli alzava le braccine verso l’alto come si fa ad un vincitore!
Per incontrare gli Himba (almeno per incontrare tribù autentiche) bisogna spingersi molto a Nord della Namibia in una delle zone più selvagge dell’Africa meridionale, nella regione del Kaokaland, più precisamente nei pressi di Opuwo. Solo con l’aiuto di una guida, nella maggiore dei casi anch’essa Himba, è possibile entrare in uno dei loro villaggi.
Una tribù di pastori nomadi
Gli Himba sono pastori nomadi discendenti da un gruppo Herero rifugiatosi in Angola per sfuggire alle aggressioni Nama nel XIX secolo. Chiesero asilo ai Boscimani e per questo motivo vennero chiamati “Ovahimba” cioe, coloro che mendicano. Ritornati nella loro terra nel 1920, non ebbero contatti con i colonizzatori tedeschi a differenza degli Herero, rimasti al Kunene River. Da allora il loro stile di vita è lo stesso: gli uomini seguono le vacche in lunghe transumanze che possono durare anche varie settimane. Alle donne spetta il resto ossia allevare capre, curare la prole, dedicarsi all’orto, costruire le capanne realizzare manufatti e occuparsi della medicina tradizionale e delle pratiche religiose.
Va detto che non ignorano l’occidentalizzazione, ma semplicemente la rifiutano. Infatti non è raro vedere delle donne Himba a Opuwo in fila al supermercato o i loro uomini che guidano un furgone per andare a vendere i loro prodotti al mercato (non chiediamoci se abbiano la patente e immatricolazione!).
Il mio incontro con le tribù Himba
Ho avuto la fortuna di avere una guida proveniente anch’essa da una tribù Himba (ma ormai totalmente in jeans, t-shirt e cellulare). Solo così ho potuto incontrare una tribù piuttosto isolata, che solitamente preferisce non ricevere visite dai turisti. Infatti al nostro arrivo abbiamo dovuto aspettare un po’ affinchè la guida gli parlasse e li convincesse a farci entrare.
Da fuori il recinto, l’aspetto di un villaggio Himba appare perfetto. In seguito infatti, la guida ci spiegherà che la struttura del loro campo ha una logica del tutto studiata. Al centro del villaggio Himba brucia sempre l’okuruwo, il fuoco sacro che allontana gli spiriti cattivi e che è custodito girono e notte da una sciamana donna, scelta tra le più anziane della tribù. Il villaggio generalmente accoglie circa 30 persone, è circolare ed ha un raggio di circa 70 metri. E’ formato da due cerchi concentrici, o meglio due recinti costruiti da una robusta siepe di rami spinosi: quello esterno funge confine del villaggio e quello interno è per custodire il bestiame. Il bestiame è al centro di tutto, costituisce la sopravvivenza, il tesoro e va custodito.
Attorno vi sono le capanne a forma conica costruite con rami e foglie di palma, cementate da fango e sterco di vacca resistenti alla pioggia. in uno spazio a Nord vi è il fuoco sempre per loro sacro e per questo sempre acceso, la casa del capo tribù e della famiglia. A sud c’è il recinto dei buoi sacri dove dormono anche i giovani “adulti” forti e protettori del villaggio. Il tutto è chiuso dalla recinzione esterna che oltre a segnare il limite della “proprietà”, ha un significato bene preciso di separazione con il mondo.
Perchè gli Himba vengono chiamati il “popolo rosso”?
Il popolo rosso. Gli Himba sono così chiamati grazie all’uso di una mistura tipica della loro cultura, con la quale si ricoprono il corpo. L’ otjize è che viene utilizzata sul corpo, sui capelli e perfino su abbigliamento e gioielli. La usano per proteggersi dal clima caldo e secco del deserto e dai raggi del sole, inoltre è considerata un buon repellente per gli insetti. Oltre a cospargersi con l’otjize le donne Himba si profumano immergendosi in bagni di fumo profumato, infatti all’interno delle loro capanne c’è sempre un piccolo fuoco con il quale bruciano le erbe aromatiche e la resina. Questo bagno di fumo inoltre, ha un effetto antibatterico.
Le donne hanno molto cura del loro corpo , purtroppo però non avendo acqua e non potendosi rinfrescare si passano questa mistura 2-3 volte al giorno con molta attenzione. L’acqua scarseggia nella loro regione e la poca che hanno rappresenta un tesoro inestimabile; è consentito usarla solo agli uomini in occasioni molto particolari come feste o riti religiosi. Usano pochi indumenti, lasciano i seni scoperti e indossano giusto l’ombuko che è un gonnellino di pelle di capra e dei sandali in cuoio. Amano adornarsi di bracciali e collane in cuoio e ferro. Nel momento in cui partoriscono il loro primo figlio, ricevono dalla madre una collana con una conchiglia proveniente dai mari dell’Angola che scende tra i seni e che rappresenta fertilità.
Il modo di acconciare i capelli è molto scenografico ed è molto importante perchè permette di capire il loro ruolo sociale all’interno della tribù. Da bimbe raccolgono i capelli in due grosse trecce in avanti che cadono lati del viso, in età fertile portano molte più treccine piccolissime. Una volta sposate usano una crocchia di pelle di capra per abbellire. Non avendo acqua per lavare i loro capelli usano la cenere ottenuta da rami bruciati di piante aromatiche. Gli uomini solitamente indossano un copricapo che nasconde i capelli e che tolgono solo per dormire o in caso di lutto. I bambini invece hanno il capo rasato e viene lasciato solo un codino che taglieranno il giorno del matrimonio.
Di tutte le popolazioni e le tribù conosciute nei miei viaggi in Africa, le tribù Himba sono a mio avviso le più autentiche, aperte, curiose e soprattutto cordiali. Quando arrivi sei comunque un turista, come colui che vuole rubare qualche foto e nulla più … nonostante ciò, mi è stata stretta una mano, fatto un sorriso e accolto come uno di loro. Seduto a terra con loro a conversare, a giocare coi propri figli e a fare domande sulla loro vita. Mi hanno accolto.
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